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Industria

07 marzo 2023

Pellemoda compra Second Skin e compatta la filiera

L’azienda empolese della famiglia Morelli (35 milioni di ricavi 2022) si assicura figure che sanno cucire i capi. Le dinamiche in atto.

Silvia Pieraccini

L’empolese Pellemoda, produttore di abiti in pelle e in tessuto per i grandi marchi internazionali da 35 milioni di fatturato 2022, acquisisce (attraverso la newco Laboratorio Pellemoda srl) una piccola azienda di Orvieto, Second Skin, assicurandosi così 30 persone che sanno cucire capi in pelle e shearling e rafforzando la capacità produttiva. Second Skin, che fa capo a Catia Martini, nel 2022 ha fatturato 770mila euro con 17 dipendenti (altri sono impiegati in una controllata che ora sarà incorporata).

Un modo per ovviare alla mancanza di manodopera

Per Azzurra Morelli, titolare di Pellemoda col fratello Giampaolo, l’operazione segna un passo strategico: “Questa azienda umbra lavora per noi da tanti anni – spiega – e ora siamo felici di poter contare in modo diretto su 30 lavoratori già formati, che sanno cucire la pelle, in una fase in cui trovare manodopera è davvero difficile”.

Pellemoda con questa operazione compatta la filiera di fornitura e s’inserisce nella scia dei terzisti dei grandi marchi del lusso, almeno quelli più grossi e strutturati, che si stanno rafforzando attraverso l’integrazione verticale, oppure stringendo i legami con i subfornitori ospitati nello stesso stabilimento. E’ un processo impetuoso, scatenato dalla pandemia e dalle difficoltà post-Covid nel reperire competenze e componenti, che sta determinando una profonda riorganizzazione.

I casi 2C, Gab, Lem

La 2C di Scandicci (Firenze), produttore da 50 milioni di fatturato di accessori metallici (fibbie, ganci, borchie) per borse e scarpe dei grandi marchi, ha acquisito nei giorni scorsi la piccola Joker (5 milioni di fatturato), altro produttore di minuterie metalliche. Gab, azienda di borse entrata a far parte del gruppo Holding Moda, entro l’anno completerà il nuovo stabilimento di Calenzano (Firenze) in cui produce per i grandi marchi dei gruppi Lvmh e Kering, ospitando in affitto otto laboratori di subfornitura esterni (sui 12 totali). In questo modo ottimizzerà tempi e logistica e avrà la garanzia di una filiera tracciata e trasparente, sempre più richiesta dai grandi marchi. Daniele Gualdani, titolare della Lem di Bucine (Arezzo), colosso delle finiture per fibbie e chiusure di borse e abiti (70 milioni di fatturato 2022), i subfornitori sotto il proprio tetto li ha messi da più di dieci anni, attraverso un contratto di appalto. Si tratta di due aziende create da una ragazza del Bangladesh arrivata in Valdarno all’inizio degli anni Duemila in cerca di fortuna, che oggi impiega 100 connazionali e svolge una fase strategica del processo, la legatura dei pezzi di metallo al filo di rame: un caso straordinario di integrazione e imprenditorialità ora raccontato nel libro ‘Legami e legature’. In tutti i casi l’obiettivo è uno solo: stringere gli anelli della filiera per essere in grado di produrre presto e bene.

Autore:

Silvia Pieraccini

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