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Territorio

03 aprile 2023

Toscana superstar nell’attrazione di investimenti nel vino

Il 38% delle acquisizioni degli ultimi 7 anni è avvenuto nella regione. Bene la redditività delle società di capitali, ma i prezzi sono ancora bassi.

Silvia Pieraccini

Per alcuni è il segnale che le aziende del territorio hanno buoni numeri per attrarre investitori; per altri è la spia di un fenomeno di conquista che rischia di portare il “cervello” lontano dai vigneti. Fatto sta che la Toscana è di gran lunga la regione italiana in cui negli ultimi sette anni, dal 2016 al 2022, si è realizzato il maggior numero di acquisizioni nel settore vitivinicolo: il 38%, contro il 19% del Piemonte, l’11% del Veneto, l’8% della Sicilia e il 7% della Lombardia.

Negli ultimi sette anni 56 operazioni di valore superiore a 1 milione

Il dato emerge dall’indagine sugli asset che creano valore per la filiera vitivinicola italiana, fatta da Unicredit e Nomisma e presentata alla fiera Vinitaly in corso fino al 5 aprile a Verona, che vede la presenza di centinaia di aziende vinicole toscane tra gli espositori. Le transazioni prese in considerazione per l’indagine sono 147 di valore superiore a 1 milione di euro, per un totale complessivo di 2,1 miliardi di euro e 12.700 ettari passati di mano (fonte Nomisma Wine Monitor su dati Cbre). La Toscana, dunque, è stata interessata da 56 operazioni di investimento negli ultimi sette anni.

L’appeal maggiore è del Brunello di Montalcino

La denominazione più “gettonata” è il Brunello di Montalcino (ha assorbito il 16,1% delle transazioni totali), seguita a distanza dal Barolo (8,4%), dal Prosecco Doc (7,7%) e dall’Etna (7,1%). Tra i territori interessati dagli investimenti ci sono anche Chianti Classico (6,5%), Bolgheri (5,8%), Valpolicella (5,2%) e Barbera d’Asti (4,5%). Proprio la denominazione Bolgheri è quella in cui, nei giorni scorsi, ha investito un leader del settore vinicolo come la cantina fiorentina Ruffino.

Toscana al vertice per redditività delle società di capitale

La Toscana si piazza al vertice anche per redditività delle società di capitale vinicole (escluse le cooperative): la media del periodo 2017-2021, sempre secondo l’indagine Unicredit-Nomisma, è un ebitda (guadagni al lordo di tasse, svalutazioni e ammortamenti) pari al 20,3% del fatturato, contro il 15,6% della Campania, il 14,6% del Friuli Venezia Giulia, il 13,4% del Piemonte e il 12% della Sicilia. La media italiana del periodo è un ebitda dell’11,2%, quasi la metà di quello delle società di capitale toscane. Il vino, in ogni caso, mostra una redditività maggiore rispetto al più ampio settore ‘food and beverage’ (che si attesta poco sopra l’8%).

Ma i prezzi delle bottiglie sono ancora (troppo) bassi

La strada (lunga) che i vini Dop italiani, e anche toscani, devono ancora percorrere è quella dei prezzi: la Francia – sottolinea la ricerca – su questo terreno sembra irraggiungibile, con i Rossi Borgogna che all’export hanno spuntato in media 38,07 euro al litro nel 2022, seguiti dallo Champagne con 30,37 euro/litro e, a distanza, dai Bianchi Borgogna a 16,74 euro e dai Rossi Bordeaux a 14,36 euro. I primi vini italiani sono i Rossi del Piemonte con 11,12 euro al litro; i Rossi della Toscana l’anno scorso hanno toccato un prezzo medio all’export pari (solo) a 8,70 euro: una distanza davvero incolmabile rispetto alla Francia.

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Silvia Pieraccini

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