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19 aprile 2024

Per il Terzo settore in Toscana 60mila volontari (organizzati) in meno dal 2014

Tra professionalizzazione e precarizzazione Cesvot fa il punto: in gioco c’è anche un pezzo di servizi e welfare.

Leonardo Testai

Cosa succede se, nel momento in cui il Terzo settore è chiamato a essere sempre più partner delle amministrazioni pubbliche – anche in Toscana – in una logica di sussidiarietà, la spinta propulsiva del volontariato viene meno? E’ l’interrogativo posto dal Cesvot, il centro servizi regionale del volontariato, che registra nell’arco temporale dal 2014 al 2022 il venir meno, a livello regionale, di 60mila persone impegnate nel volontariato organizzato, una riduzione del 18%. Numeri che confermano un trend già noto, ma che non intercettano quella fascia di persone che si dedicano al volontariato fuori dal mondo degli Enti del Terzo settore.

“Spesso registriamo una disponibilità a fare volontariato da parte delle persone, ma spesso una certa rigidità da parte delle associazioni impedisce poi di proseguire questo rapporto”, afferma Luigi Paccosi, presidente Cesvot, secondo cui “gli Ets hanno bisogno di rigenerare i loro principi ispiratori e quelli organizzativi; di rinnovare senso e motivazioni del loro agire per essere compresi dai cittadini e dai potenziali nuovi volontari; di poter esercitare una collaborazione paritaria e virtuosa con l’ente pubblico, soprattutto nei nuovi percorsi previsti dall’amministrazione condivisa”.

Da qui la necessità di fare il punto: ed è avvenuto al convegno ‘Leggere il cambiamento. Cultura organizzativa, attrattività, ruolo pubblico e politico del terzo settore’, organizzato all’Innovation Center di Firenze da Cesvot e Regione. In Toscana il numero complessivo degli Enti del Terzo settore è passato dagli 11.355 di fine agli 11.556 di fine 2023 (+1,77%): le Organizzazioni di volontariato (Odv) passano da 3.402 a 3.175 (-6,67%), mentre aumentano le Associazioni di promozione sociale (Aps) che passano da 5.537 a 5.728 (+3,45%). A queste due tipologie si aggiungono 927 imprese sociali, 21 enti filantropici, 408 altri Ets, 1.294 onlus e tre società di mutuo soccorso.

Il volontariato si professionalizza, ma non è per tutti

La filosofia della sussidiarietà porta il Terzo settore ad avere un ruolo importante nel welfare e nelle politiche pubbliche in genere, con gli strumenti della coprogrammazione e della coprogettazione che offrono una prospettiva virtuosa di collaborazione di lungo periodo con la Pa. Ma il peso di questo ruolo, in Toscana come in Italia, è tale per cui “rischiamo oggi di pensare al Terzo settore – osserva Andrea Salvini, professore di Sociologia generale all’Università di Pisa – come un’arena in cui i soggetti interagiscono e competono per l’erogazione e la produzione di beni e servizi, talvolta mettendo in secondo piano la dimensione comunitaria, cioè l’importanza di stare accanto alle persone, di ascoltarle, di portare anche soltanto una parola di conforto, che è quello che noi chiamiamo Welfare di prossimità, ma che forse è la dimensione che più di ogni altra andrebbe rivalutata”.

L’erogazione dei servizi, peraltro, “necessita di una preparazione – sostiene il sociologo – di un insieme di competenze importanti che non si possono improvvisare. Volontà e tempo libero non bastano più: ci vuole anche competenza, almeno per certi livelli di servizio”. Da qui il fenomeno della “professionalizzazione del volontariato”, che “dipende essenzialmente dalla circostanza per cui oggi senza il Terzo settore molte delle cose che le amministrazioni fanno non potrebbero essere fatte”, secondo Salvini.

Se volontà e tempo libero non bastano più, afferma il professore, “la professionalizzazione è selettiva, cioè non tutti si possono permettere di acquisire competenze con corsi di formazione di 300-500 ore, e quindi la selezione fa sì che solo alcuni si possano permettere certe forme di volontariato e di servizio. Mentre purtroppo altre persone, magari dotate di tanta buona volontà, ma con minore disponibilità di tempo, hanno anche meno possibilità di inserirsi in un’organizzazione che li possano accogliere e garantire un’attività a un certo livello di professionalità”.

Anche il volontariato diventa precario e discontinuo

Il problema del tempo da dedicare al volontariato è sentito soprattutto dai giovani, una riserva naturale anche secondo la ricerca Cesvot che evidenzia nella fascia 18-34 anni un forte interesse. Ma se l’interesse non si trasforma in partecipazione il problema diviene rilevante, ora che le vecchie classi dirigenti, si stanno esaurendo sul piano anagrafico, demografico, e rispetto alle rappresentazioni di cui si fanno portatrici, con crescenti timori rispetto alla tenuta organizzativa.

“Anche il fare volontariato è sottoposto a un certo processo di precarizzazione e di discontinuità”, ammette Salvini, secondo cui “i giovani sono esposti a una condizione di precarizzazione molto più rilevante di qualche tempo fa, e quindi sicuramente questo non favorisce la flessibilità nella gestione dei tempi. Soprattutto chi si affaccia al mercato del lavoro ha bisogno di dedicare gran parte del proprio tempo alla ricerca di una posizione possibilmente stabile, ma sappiamo che questo è molto difficile. Questo si contrappone alla possibilità di essere dediti al volontariato, e anche questo genera per un certo verso la difficoltà di cogliere e di interpretare i bisogni dei giovani, per l’altro anche la difficoltà di ‘fidelizzarli’. Oggi un compito importante delle organizzazioni, ma anche molto difficile, è quello di garantirsi la permanenza e la durata del volontariato”.

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Leonardo Testai

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