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Territorio

05 ottobre 2023

Casamonti: “La cultura dell’immobilismo tradisce il Rinascimento”

Ma quando Firenze si è fermata? “Nel 1962, dopo l’ultimo piano dell’urbanista Edoardo Detti”, spiega l’architetto.

Silvia Gigli

Marco Casamonti_by Alexander Dobrovodskyě

Nel dibatto sulla presunta timidezza di Firenze nei confronti dell’architettura contemporanea, interviene l’architetto Marco Casamonti, tra i fondatori di Archea, studio di architettura che da Firenze lavora in tutto il mondo, dal Vietnam alla Cina, dal Sudamerica al Brasile e Messico. E poi Svizzera, Francia con un concorso vinto a Montpellier. Contemporaneamente non ha abbandonato Firenze curando il progetto del Viola Park, 4 edifici di nuova concezione a Novoli oltre la celebre Cantina Antinori a San Casciano. La persona giusta, insomma, per chiedere una riflessione su Firenze e la contemporaneità.

Città con un passato glorioso che non riesce a stare al passo

“Firenze è una città con un passato glorioso che vive prevalentemente nella nostalgia ma fatica più a stare al passo con il significato più profondo del Rinascimento dove l’osservazione dell’antico costituiva la base per innovare l’arte la società. Insomma, tradiamo ciò che noi stessi amiamo”. Se parliamo di Arata Isozaki e Jean Nouvel, l’architetto precisa: “Ogni caso ha una storia a sé ma, se tre indizi fanno una prova, la contemporaneità fatica ad essere accolta. Nouvel ebbe un problema di natura economica con i committenti e alla fine tolse la firma al progetto; Isozaki vinse un concorso ma fu bloccato dall’allora sottosegretario Vittorio Sgarbi”.

In pratica, secondo Casamonti, “Firenze oggi vive in modo diverso il rapporto con il passato  rispetto a ciò che ci ha insegnato la lezione rinascimentale; viviamo schiacciati dal peso della storia mentre altre città guardano al nuovo, si spingono avanti. Ricordiamoci che il Rinascimento non aveva paura del nuovo, agli Uffizi fu fatto un intervento di abbattimento dei vecchi borghi medievali per realizzare un piazzale che presenta una piazza che ancora oggi risulta uno spazio di straordinaria modernità. Ci sono città come Berlino, Bilbao, Barcellona dove i turisti apposta per contemplare l’architettura di oggi”.

Fermi dal ’62, Detti è stato l’ultimo innovatore

Ma quando è stato il momento in cui Firenze si è fermata? “Secondo me nel 1962, dopo l’ultimo piano dell’urbanista Edoardo Detti che voleva fare la seconda cerchia di viali che oggi ci sarebbe stata preziosa. Fino agli anni 60 c’è stata una visione, poi il mercato del boom edilizio ha tradito gran parte delle attese. Firenze si è salvata per il piano Detti che impediva la costruzione sulle colline”. “Se Bilbao, da città industriale si è trasformata in polo attrattivo – continua l’architetto – è stato per la presenza di opere di grandi maestri  come Calatrava, Gehry anche grazie all’utilizzo sapiente dei fondi europei. Il problema non è mai di natura economica, semmai è culturale e di procedure. L’Italia è il Paese che impiega più tempo nella realizzazione di opere pubbliche con una media imbarazzante di 15 anni. Inoltre va detto che la nostra politica negli ultimi anni non ha mai creduto nella forza di rinnovamento trasmessa dall’architettura. Esiste un Centre Pompidou in Francia ma non mi risulta che ci sia alcun edificio o monumento attribuito o intitolato ai nostri politici, a testimoniare che all’architettura non è riconosciuto quel valore celebrativo di cui Firenze è testimonianza. Se la cultura, ma più in generale i cittadini non chiede qualità progettuale e bellezza, i progetti saranno in tono minore. Occorre pertanto una nuova tensione intellettuale che spinga verso la ricerca della qualità architettonica”. Ma una nuova visione da cosa nasce? “Cercherei di capire e di coinvolgere i migliori architetti così come un qualsiasi direttore di teatro sceglie per i propri spettacoli i migliori cantanti di opera, punterei cioè sulla eccellenza senza paura, con fiducia”.

“Un’opera di qualità produce ricchezza”

“Anche i privati devono avere coraggio e non preoccuparsi dei profitti a breve termine – continua Casamonti -: quando un’opera è di qualità produce con certezza un grande ritorno economico. La mediocrità di oggi sarà la povertà di domani. Anche la gente comune, come già sottolineato, va a vedere i palazzi di Bilbao, Amburgo, Barcellona: le opere di qualità vanno realizzate non per un piacere edonistico ma perché ne possano godere tutti. Se ci pensiamo, durante il Ventennio a Firenze furono costruite opere straordinarie come la stazione, lo stadio, la biblioteca nazionale. Da allora abbiamo avuto qualche momento di eccellenza come negli anni della ricostruzione dove abbiamo realizzato uno straordinario intervento di congiunzione tra antico e moderno: Borgo San Jacopo. Successivamente questo afflato si è spento”.

E’ critico Casamonti. “Noi abbiamo una città che vale oro e tesori inestimabili ma vivere di rendita costituisce il declino per qualsiasi società. In molti accusano la politica di scarsa sensibilità e attenzione, tuttavia la politica è lo specchio di una società che sta vivendo un periodo di forte impoverimento culturale. L’unica speranza è che cresca il livello di consapevolezza della società nei confronti della architettura e della città, parimenti la politica potrà rappresentare questi desideri”.

“Auguriamoci che chiunque amministrerà abbia una grande visione”

Poi un tocco di ottimismo. “Tutto sommato Firenze è tenuta bene, è una città pulita, ordinata. Rispetto alla contemporaneità ovviamente vi è un atteggiamento timido e rallentato. Va riconosciuto che molte delle energie sono state concentrate sulla realizzazione di un nuovo sistema di mobilità come le tramvie e sono convinto che, se realizzate in tempi brevi, potranno agevolare la vita dei cittadini. In ogni o caso rimane aperta la questione dei tempi e della complessità procedurale in particolare per la costruzione delle opere pubbliche”. Per la realizzazione del Palazzo di Giustizia ci sono voluti 37 anni dalla sua ideazione, con l’aeroporto di Firenze siamo a 40 anni. “Nel dibattito generale il fattore tempo è una questione di fondamentale importanza: poiché ogni 20 anni cambia una generazione. I punti chiave sono appunto tempi brevi, un livello culturale collettivo più consapevole e una visione strategica per il domani. Auguriamoci quindi che chiunque sia a guidare la città sappia guardare Firenze come un corpo vivo in continua trasformazione; attraverso modificazioni che siano la conseguenza di una grande visione”.

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Silvia Gigli

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