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26 luglio 2022

Il licenziamento per “troppe assenze per malattia”

Nel suo intervento di questo mese l’avvocato Claudia Del Re spiega quali possono essere per il datore di lavoro le insidie del licenziamento per superamento del periodo di comporto.

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contributo di Claudia Del Re, avvocato dello Studio Legale Del Re.

Il lavoratore dipendente ha diritto a conservare il proprio impiego sino al termine del periodo di assenze per malattia per un tetto massimo previsto nei contratti collettivi di lavoro (il così detto “periodo di comporto”). Durante la malattia è sospesa l’attività lavorativa, ma persiste il rapporto di lavoro, con conseguente vigenza di diritti e obblighi per il prestatore di lavoro.

Qualora sia per essere superato il periodo di comporto, il lavoratore non ha diritto ad essere preavvisato sulla data di scadenza, ma il datore di lavoro può licenziare il dipendente nel rispetto del termine di preavviso. Nella pratica, è opportuno prestare attenzione a questa particolare tipologia di licenziamento che non ha natura disciplinare né di giustificato motivo oggettivo.

Nel licenziamento per superamento del periodo di comporto, “Il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, fermo restando l’onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato” (Cass. n. 8628/2022).Or dunque, si dovrà distinguere tra comporto “secco” (unico ininterrotto periodo di malattia) e comporto “per sommatoria” (plurime e frammentate assenze). Infatti, nel caso del “comporto secco” i giorni di assenza per malattia sono facilmente calcolabili anche dal lavoratore; invece, nel “comporto per sommatoria” (plurime e frammentate assenze) occorre un’indicazione specifica delle assenze computate, in modo da consentire la difesa al lavoratore.

Non possono essere conteggiate nel periodo di comporto le assenze per malattia da imputarsi al datore di lavoro a causa della nocività dell’ambiente di lavoro conseguente a violazioni delle prescrizioni in materia di sicurezza compiute dal datore di lavoro.

La giurisprudenza dominante riconosce al datore di lavoro sia il diritto di recedere dal rapporto non appena terminato il periodo di comporto che la facoltà di attendere il rientro in servizio del lavoratore per valutare un suo possibile riutilizzo nell’assetto organizzativo dell’azienda, senza che questa attesa sia da intendersi come la volontà di rinuncia all’esercizio del recesso. Comunque, il datore di lavoro dovrà recedere in un intervallo di tempo ragionevole. Non vi sono in normativa termini da osservare, ma il principio di tempestività dovrà essere valutato caso per caso. Sarà onere del lavoratore dimostrare che il tempo intercorso tra il superamento del comporto e il licenziamento è stato troppo lungo così da violare il suo affidamento alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

In relazione alle conseguenze dell’illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto, che deve avvenire nel rispetto del termine di preavviso, deve ritenersi nullo per violazione dell’art. 2110 c.c. (Cass. Sez. Unite n.12568/2018).

L’avvocato Claudia Del Re è professore a contratto in Gestione della Brevettazione e della Proprietà Intellettuale presso Università degli Studi di Firenze e avvocato dello Studio Legale Del Re.

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