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18 gennaio 2023

Progetto Soleil contro lo sfruttamento nella pelletteria

Nell’area fiorentina, secondo la Cgil. crescono i fenomeni perversi legati alla (ricattabile) manodopera straniera.

Contro i fenomeni di sfruttamento nel settore della pelletteria sta per prendere il via un progetto teso a incentivare le denunce: il progetto Soleil, che vede la Regione Toscana in partenariato con le Regioni Lazio, Abruzzo, Marche e Molise, è stato presentato in una iniziativa della Cgil di Firenze a Sesto Fiorentino. Con la partecipazione dei partner nel progetto (la stessa Cgil, Anci Toscana, L’Altro Diritto) e la benedizione di Stefano Zecchi di Confindustria Firenze Moda: proprio l’associazione che ha siglato coi sindacati di settore l’Avviso Comune dell’autunno del 2021, “un accordo innovativo che consolida la collaborazione tra sindacato e imprese per la lotta allo sfruttamento lavorativo”, nel segno della legalità come valore del territorio, anche per la sua attrattività.

Il progetto Soleil non interesserà solo il settore moda e pelletteria, ma anche logistica, agricoltura e tutti gli altri dove si verifichino episodi di sfruttamento. Tuttavia l’emergenza principale nel territorio fiorentino, secondo il sindacato, si registra oggi proprio nel comparto della pelletteria, protagonista negli anni di una crescita impetuosa della produzione, ma con fenomeni di sfruttamento della manodopera, generalmente straniera, lungo la filiera.

Niente ferie o malattia, salario deciso su base etnica

Secondo un focus della Filctem-Cgil, nella Piana fiorentina c’è stato un aumento della presenza delle aziende a capitale cinese, “dove con più probabilità si verifica il fenomeno dello sfruttamento lavorativo”. In queste aziende, afferma il sindacato, “si lavora 12/13 ore al giorno, per 6/7 giorni alla settimana, senza periodi di ferie o pause per le festività, senza malattia retribuita e altri diritti”. Il salario, secondo il focus, “è deciso unilateralmente dal padrone e differenziato nell’importo soprattutto su base etnica: i più pagati sono i lavoratori cinesi, seguiti dai lavoratori provenienti dal subcontinente indiano e infine i lavoratori provenienti dall’Africa subsahariana, che in molti casi lavorano per meno di 3 euro l’ora”.

Nei casi più estremi, all’interno di un unico capannone possono coesistere oltre 20 aziende con 3 o 5 addetti, fino ad arrivare a un massimo di 20 addetti ciascuna; questo agevola uno scambio illecito di manodopera tra le varie aziende che condividono lo stesso ambiente di lavoro. I lavoratori più precari sono quelli ospitati in alloggi di proprietà del datore di lavoro, spesso case fatiscenti e comunque in condizioni di convivenza difficili (in un unico appartamento possono risiedere anche 9 persone): e se si interrompe il rapporto di lavoro, perdi contemporaneamente anche l’alloggio.

L’idea di una presa in carico globale dello sfruttato

Nell’arco degli ultimi 4 anni sono state diverse decine le vertenze per sfruttamento lavorativo portate avanti dalla Filctem Cgil Firenze, spiega il sindacato, ma per questi lavoratori è quindi particolarmente difficile denunciare le condizioni di sfruttamento. Da qui l’idea del progetto Soleil (Servizi di orientamento al lavoro ed empowerment interregionale legale), con una presa in carico a livello sociale, sanitario, abitativo e lavorativo. “Dobbiamo opporci con tutte le nostre forze al fenomeno dello sfruttamento lavorativo – afferma la Cgil – perché non è accettabile che nelle nostre città e vicino alle nostre case ci sia la presenza di questa forma moderna di schiavitù”.

Fra tante storie di sfruttamento lontane da una conclusione positiva, la Cgil ha raccontato a Sesto anche le storie concluse in modo positivo. E fondamentale, per il sindacato, “è stata la collaborazione con alcune aziende del settore della moda, che si sono dimostrate particolarmente sensibili al tema della legalità della filiera, grazie alle quali è stato possibile ricollocare alcuni lavoratori rimasti senza occupazione in seguito alla denuncia delle proprie condizioni di sfruttamento. Ciò è avvenuto grazie ad un modello solido di relazioni industriali che è stato d’ispirazione per la realizzazione dell’Avviso comune”.

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