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18 aprile 2023

Moda, dalle startup una ‘seconda vita’ agli scarti di magazzino

Dal summit su Moda e digitale di Pitti Immagine arrivano le soluzioni innovative per produzione e distribuzione. Ecco quali.

Silvia Pieraccini

L’industria della moda si sta ormai abituando a progettare capi in 3D per risparmiare tempo e materiali, a utilizzare il marketing digitale per attirare il consumatore, ad affidarsi a software che raccolgono e veicolano informazioni sulla tracciabilità (chi ha prodotto il filato, chi ha cucito il capo, chi ha fornito gli accessori metallici), sulla sostenibilità (quanta acqua e energia sono state utilizzate, con quali fibre è fatto l’abito, dove è realizzato) o sull’autenticità del capo (siamo sicuri che non sia un ‘falso’?).

Al summit e-P le soluzioni più innovative

Le tecnologie digitali sono dunque entrate a pieno titolo sia nella fase della produzione che in quella della distribuzione di prodotti-moda, come si è visto al summit e-P su ‘Moda e digitale’ organizzato dalla società fieristica Pitti Immagine, in corso il 18-19 aprile alla Stazione Leopolda di Firenze. La frontiera che ancora manca – e che oggi è sempre più all’attenzione delle startup innovative del settore fashion – riguarda il riutilizzo degli scarti di produzione e delle rimanenze di magazzino, cioè dei migliaia di metri di tessuto e pelle che ogni giorno “ingolfano” discariche e inceneritori perché non più utili a fini produttivi. Su questo fronte proprio all’e-P Summit sono state presentate le soluzioni di due startup – la pisana Cdc_Studio e la milanese Must Had – selezionate, insieme con altre, grazie all’Innovation Call realizzata in collaborazione col Fashion technology accelerator.

La plastica riciclata si accoppia con i tessuti difettati

Cdc_Studio è stata fondata a Castelfranco di Sotto (Pisa) nel giugno 2020, in piena pandemia, da Cristina Di Carlo, alle spalle una lunga esperienza come product manager per aziende di moda, con l’idea di dare una seconda vita alle rimanze di magazzino, in particolare tessuti e pellami difettati o invenduti. Cristina ha stretto una collaborazione con l’azienda di riciclo delle plastiche Aliplast del Gruppo Hera, che le fornisce il polietilene riciclato (dai sacchetti di plastica): quel polietilene, accoppiato con gli scarti di pelle o tessuto grazie a una tecnologia brevettata battezzata coeo, dà vita a un nuovo materiale antivento, antipioggia, a lunga durata, utilizzabile per capispalla, scarpe, borse, arredamento. “Aiuto le aziende a nobilitare pelli o tessuti che sono rimanenze di magazzino”, spiega Cristina che sta per aprire un round di investimento da 850mila euro. “Il nostro intento è proseguire nella ricerca – aggiunge – anche per certificare la riciclabilità del nostro materiale coeo”.

Cristina Di Carlo col materiale coeo frutto del suo brevetto

I capi finiti hanno davanti tre strade

Guarda alle rimanenze di magazzino ma di capi finiti Must Had, fondata nel 2021 da tre giovani torinesi per trovare la soluzione circolare più adatta – riciclo, riuso o upcycling – in base al prodotto che si ha davanti. Da qui la possibilità di riciclare capi, di reimmetterli nel circuito di vendita oppure di trasformarli, magari tingendo a spruzzo maglioni difettati (è la soluzione da cui è nata l’idea della startup). “Il nostro obiettivo – spiega Eugenio Riganti, uno dei fondatori – è digitalizzare questo sistema, in modo che possa agganciarsi ai magazzini delle aziende e proporre la soluzione circolare più adatta in base a ciò che vi è contenuto”.

Capire i comportamenti dei consumatori prima dell’acquisto

Il grande utilizzo di tecnologie digitali nella moda è destinato a proseguire secondo Rinaldo Rinaldi, direttore scientifico di e-P Summit che da oltre dieci anni ha creato all’Università di Firenze, dove insegna, un laboratorio per il mondo della moda, chiamato Digit for Fashion Lab. “Speriamo di portare anche Pitti Immagine dentro questo laboratorio – spiega – per sperimentare sempre più le tecnologie digitali che le aziende della moda, da sole, non vogliono o non possono sperimentare. In futuro il settore punterà a capire i comportamenti (e i gusti) dei consumatori prima ancora che entrino in negozio, e per far questo cercherà di acquisire dati dai social, dalle chat, dall’analisi semantica, tanto più dopo il 2025 quando i cookie che oggi servono a tracciare la navigazione sul web saranno aboliti”.

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Silvia Pieraccini

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